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Dal consenso senza governo
al governo senza consenso
di Giorgio Casera


il prof. Valerio Onida
Valerio Onida - foto Fr.I. - l'Arengario
E' stata una lezione esemplare quella impartita dal prof. Valerio Onida¸ presidente emerito della Corte Costituzionale, alla Sala della Cultura di Monza ieri, venerdì 3 febbraio, nel corso dell'incontro organizzato dall'Associazione Nazionale Magistrati di Monza, congiuntamente con il Centro Culturale Ricerca.
L'incontro aveva come tema generale quello delle riforme alla nostra Costituzione del 1948 ma inevitabilmente si è parlato in particolare dell'ultima, approvata dalla sola maggioranza di Centrodestra nel novembre 2005 ed in attesa di essere confermata od abrogata con un referendum popolare previsto verso giugno.
Onida è comunque partito da lontano, dagli anni '80, quando nel mondo politico, che constatava una cronica crisi di governabilità (i governi duravano in media sei mesi, periodo del “consenso senza governo”), cominciò a formarsi l'idea che una modifica alla Costituzione avrebbe risolto i problemi. Naturalmente non se ne fece niente: se era difficile trovare una maggioranza per formare un governo, ancora più difficile sarebbe stato comporne una, molto più ampia, per modificare la Costituzione. Questo fino al 2001 quando, a fine legislatura, il centrosinistra, allora al governo, forse per “captare la benevolenza” della Lega, approvò, con i suoi soli voti, le modifiche al Titolo V con cui si trasferivano maggiori competenze dal governo centrale alle regioni. Tali modifiche, peraltro, furono approvate nel referendum confermativo dell'autunno di quell'anno. Onida, in ogni caso, ne stigmatizza il metodo e in parte i contenuti.
Esaurita questa premessa, il professore ha affrontato la questione centrale della serata, la riforma pendente. E qui Onida, sia pur mantenendo i toni e i termini distaccati dello studioso, emette una condanna senza appello. Esamina uno per uno i punti cardine della riforma, e cioè quelli inerenti la devolution, i poteri dello Stato, il nuovo Senato, gli organi di garanzia, e ne evidenzia le pecche ed i rischi per la democrazia. In breve:
  • la parte relativa alla devolution è assolutamente inutile. Gli stessi concetti potevano essere attuati attraverso leggi ordinarie perché l'attuale Costituzione prevede già la riforma federale dello Stato. Viene il sospetto, Onida non lo dice apertamente ma…, che l'inserimento della devolution nella riforma abbia solo una motivazione propagandistica a vantaggio della Lega;
  • il nuovo Senato (o Senato delle regioni) può essere fonte di notevole confusione. La riforma prevede che ad esso venga attribuito il potere esclusivo di legiferare sulle materie di competenza delle regioni (scuola, sanità etc), mentre alla Camera verrebbe assegnato il compito, ugualmente esclusivo, di legiferare sulle materie di competenza statale. Per alcune materie di particolare importanza è invece previsto il doppio passaggio, come oggi. Si possono immaginare i potenziali conflitti di attribuzione tra le Camere (come oggi si verificano tra le regioni e lo Stato centrale);
  • la parte sui poteri della Stato è il vero punto centrale della riforma. Il presidente del Consiglio diventa Primo ministro, non “dirige” più la politica del Governo, ma la “determina”; non è più, nel Consiglio dei ministri, un primus inter pares, ma il “boss” dei ministri. Gli viene affidato il potere di sciogliere le Camere, togliendolo al Presidente della Repubblica, e acquista così un enorme potere di ricatto nei confronti di deputati e senatori (“non mi date la fiducia, allora tutti a casa!”). Saremmo arrivati allo stadio del “governo senza consenso”: il nome di B. non viene mai pronunciato ma è nei pensieri di tutti gli ascoltatori:
  • la riforma degli organi di garanzia è coerente con il punto precedente: tende cioè a modificare la composizione del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte Costituzionale aumentando il numero dei membri nominati dal Parlamento, e quindi dalla maggioranza, a scapito di quelli nominati dalla magistratura e dal Presidente della Repubblica.
Tirando le somme: il nuovo Primo ministro “mette in soggezione” il Parlamento, il quale aumenta la sua influenza negli organi di vigilanza, che dovrebbero controllarlo: “nella sua follia c'è del metodo”, direbbe qualcuno.
Fin qui il prof. Onida.
Naturalmente un'esposizione così chiara dei pericoli che corre la nostra democrazia (l'impressione è che non tutti i presenti conoscessero tutti i particolari della riforma) ha come sollecitato interventi da parte del pubblico, che sono così giunti puntuali e numerosi. Da quelli degli addetti ai lavori (avvocati, magistrati) che chiedevano conferme, chiarimenti su singoli punti della riforma a quelli di chi chiedeva confronti con altre costituzioni. Tra i più significativi ne citerei tre: il primo da parte di un esponente del Comitato “Salviamo la Costituzione” che ha sentito rafforzate le motivazioni per il referendum, ha informato sullo stato della raccolta a Monza e Brianza e avvisato delle ulteriori sessioni di raccolta delle firme; per secondo quello di un insegnante dell'Istituto Mosè Bianchi, presente con numerosi allievi, che ha chiesto al prof. Onida se c'era qualcosa che potesse essere giudicata positiva nella riforma, mettendolo in un certo senso in difficoltà; ma quello più significativo è stato l'intervento di un magistrato di Monza che ha voluto uscire da un esame scientifico, quasi didattico, della riforma, per collocarla nel contesto socio-politico che stiamo vivendo (denigrazione dei valori della Resistenza, revisionismo storico ecc.), con un'offensiva operante da lungo tempo, ispirata da una precisa classe politica, con l'obiettivo sempre più esplicito di scardinare il sistema di diritti dei cittadini così come sono stati certificati dalla Costituzione (che vuol dire potere giudiziario sottoposto a quello politico, diritti sindacali ridimensionati nel mondo del lavoro e tante altre cose spiacevoli): un vero e proprio pericolo per la democrazia in Italia.
Sul quale intervento il prof. Onida, che precedentemente aveva risposto puntualmente alle più varie domande che gli erano pervenute, si è dichiarato completamente d'accordo.

Giorgio Casera

la Sala della cultura, in prima fila il sindaco Michele Faglia
in prima fila il sindaco (primo a destra) e il vicesindaco - foto Fr.I. - l'Arengario


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  4 febbraio 2006